REGGIO EMILIA: la maratona dei “record”… de’ no altri
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- Creato Venerdì, 16 Dicembre 2011 22:02
- Scritto da Cecilia Di Benedetto (Fidas)
Domenica 11 dicembre, un nutrito gruppo di podisti abruzzesi ha partecipato con me alla sedicesima edizione della maratona di Reggio Emilia. La mattina del sabato partenza di buon ora dal piazzale della stazione centrale di Pescara, proprio come una gita scolastica di altri tempi.
L’adrenalina è già in circolo e durante il viaggio si imposta la “tattica di gara” Ad ora di pranzo si arriva già a destinazione. Raggiungiamo il nostro albergo e poi subito al Marathon Expò per ritirare i pettorali. Dopo cena ci concediamo una breve passeggiata per la graziosa Reggio, impreziosita, per l’occasione, da una fontana a getto tricolore.
La mattina della gara il tempo scorre veloce e ben presto ci troviamo nelle griglie di partenza. Abbiamo solo qualche attimo per gli ultimi “sfottò” e gli “in bocca al lupo” di rito. Dopo l’inno nazionale (non dimentichiamoci che siamo nella città del tricolore) il colpo di pistola sancisce il via della maratona. I primi tre chilometri si percorrono in città, poi ci inoltriamo verso l’immensa, affascinante ed ahimé umida pianura padana. Il gruppo dei podisti si dirama ed ognuno prende il suo passo. I ristori sono puntuali ed abbondanti. Il precorso è tutt’altro che facile, con continui sali scendi e cambi di direzione. Gli ultimi due chilometri siamo accompagnati dall’incitamento della gente accorsa sul tracciato di gara.
Mano mano che arriviamo ci scambiamo le prime impressioni. Tutti d’accordo sulla bellezza della gara, ma anche sulle difficoltà. Immagino vi starete chiedendo il perché del titolo dell’articolo. Ebbene, vorrei poter citare tutti i miei compagni di viaggio, ma rischierei di annoiarvi. Farò solo il nome di qualcuno di loro, che per un motivo o per un altro, nel suo piccolo, ha realizzato un record.
Franco, con il quale abbiamo festeggiato le sue nozze d’oro con la maratona, Nicola alla sua ventesima esperienza, Pina, al debutto su questa distanza, Elga, che nonostante l’infortunio ha concluso la sua prova, Marcello, ad un soffio dal personale, e tutti gli altri che il personale lo hanno fatto, Andrea e Guido, che con la loro “gara nella gara” hanno movimentato il week-end e tutta la preparazione alla maratona, Adamo e Marco, che ci hanno fatto apprezzare il dono del silenzio, chi non ha corso ma ha patito il freddo per sostenerci, il piccolo Leo, che speriamo faccia tesoro di questa esperienza per non diventare come noi.
In conclusione vi chiedo solo un altro minuto del vostro tempo per raccontarvi di un episodio di cronaca che ha in qualche modo scosso la mia sensibilità quando, dopo la maratona, mi leccavo le ferite. E’ la storia di Marko Cheseto, maratoneta keniano di 28 anni, che per potersi garantire un futuro è andato a studiare fino in Alaska. Qualche settimana fa era partito, come di consueto, dall’università per allenarsi, ma si è imbattuto in un tempesta di neve.
Se ne sono perse le tracce per ore, e quando è stato ritrovato era quasi ibernato. I piedi erano totalmente congelati, ed si è reso necessario amputarli, e con loro anche le speranza di una carriera di alto livello.
Nella sua infinita generosità ed umiltà Cheseto ha chiesto scusa ai soccorritori per il disagio creato. Mi sono sentita subito “povera” ed ho ragionato che è una vera benedizione sentire male alle gambe dopo una gara. Pensavo a quante volte nelle manifestazioni podistiche ci lamentiamo della gara troppo corta o troppo lunga, dell’eccessivo freddo o caldo, del pacco gara o dei premi, senza pensare che ciò di cui abbiamo bisogno già lo possediamo, e vale molto di più di un pacco di pasta o di un prosciutto. Sono i nostri piedi, le nostre gambe, le nostre braccia… il nostro corpo… e scusate se è poco, potrebbe dire Cheseto
Cecilia